Se
non te lo sei mai domandato forse è il caso di farlo perché un recente rapporto
di Greenpeace, Plastics in seafood, che riunisce vari studi condotti in
più paesi, evidenzia il problema delle microplastiche nei mari di tutto
il mondo e il rischio inquietante per la nostra alimentazione.
Di rifiuti
in mari e oceani, purtroppo, ce ne sono tanti. Troppi: plastica, bottiglie,
barattoli e altri oggetti vari, senza considerare l’affondamento, volontario o
accidentale, di container e fusti tossici.
La
plastica, nello specifico, costituisce non solo un pericolo ambientale, ma
anche un pericolo importante per la nostra salute. Mentre infatti i pezzi più
“grossi” di questo materiale (con diametro o lunghezza maggiore di 25 millimetri,
oppure tra 5 e 25 millimetri) finiscono negli stomaci di uccelli e mammiferi
marini provocandone la morte, le particelle di diametro o lunghezza inferiore
ai 5 mm, dette appunto microplastiche, una volta arrivate in acqua, possono sia
assorbire che cedere sostanze tossiche, e vengono ingerite da numerosi
organismi: pesci, crostacei, molluschi.
Le cozze,
le vongole o le ostriche, ad esempio, possono semplicemente
contaminarsi con l’acqua che filtrano per nutrirsi, mentre i pesci possono
ingerire le microplastiche sia direttamente, scambiandole per prede, che
attraverso il consumo di prede contaminate.
Questo
fenomeno è ampiamente documentato. Ad esempio su 121 esemplari di pesci del mediterraneo
centrale (tra cui specie molto consumate come il pesce spada, il tonno
rosso e tonno alalunga) uno studio ha identificato la presenza di
frammenti di plastica nel 18,2% dei campioni analizzati.
Analogamente,
studi condotti su 26 specie di pesci delle coste atlantiche portoghesi hanno
evidenziato la presenza di microplastiche nel 19,8% dei campioni di pesci
analizzati: i quantitativi più elevati sono stati ritrovati nel lanzardo
(Scomber japonicus), una specie simile allo sgombro.
Un
altro studio citato nel rapporto, sugli scampi (Nephropos norvegicus),
ha dimostrato invece la presenza di frammenti di plastica nello stomaco
dell’83% degli esemplari raccolti lungo le coste britanniche.
Purtroppo
non ci sono ancora ricerche sufficienti a definire con certezza gli impatti
sulla salute umana derivante dalla presenza di queste microplastiche in mare e
dal loro trasferimento e accumulo lungo la catena alimentare, ma non bisogna
essere dei geni per capire la pericolosità di questa situazione. Penso che i
dati già disponibili confermino la necessità di applicare il principio di
precauzione limitando il consumo delle specie più esposte.
Impegnamoci,
inoltre, a tenere pulite spiagge e acque. Tutti quanti. Perché la terra è la
casa di tutti. E ciò che accade in un posto, per quanto possa sembrare un luogo
lontano, presto o tardi ci riguarderà da vicino.
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